Un Airbus A330-200 con la nuova livrea di Air Italy (photo credit Paul Sherwood)
«Air Italy è stata la vittima illustre di uno scontro di civiltà o, meglio, di mentalità». Marco Giovanniello, uno degli esperti più attenti di aviazione italiana, materia di cui spesso scrive su Gli Stati Generali, apre così la nostra conversazione sul tema del giorno, la decisione dell’assemblea dei soci di Air Italy di chiudere la compagnia aerea. «Poi, certo, ci sono le ‘difficoltà del mercato’ come recita il comunicato aziendale, la voglia dell’anziano Aga Khan e soprattutto dei suoi figli di lasciare al suo destino un’azienda in cui hanno continuato a perdere decine di milioni di euro ogni anno, la difficile situazione geopolitica del Qatar, il mancato epilogo della crisi di Alitalia, gli errori di percorso, non ultimo l’incapacità di fare lobbying con i governi italiani, tanto che l’esecutivo sembra preso in contropiede dalla notizia, quasi non se l’aspettasse». Di fondo, però, rimane la questione principe, afferma Giovanniello: «I qatarioti non hanno capito o non si sono voluti adeguare ad un contesto e a un mercato del lavoro profondamente diversi rispetto a quello della madrepatria».
La storia
Air Italy è il rebranding di Meridiana avvenuto nel 2018 a seguito dell’ingresso nel capitale sociale di AQA Holding di Qatar Airways che pochi mesi prima aveva acquistato il 49 per cento di Alisarda che ha mantenuto il 51 per cento in ottemperanza alla normativa antitrust europea. A sua volta Meridiana era il rebranding di Alisarda, operato nel 1991 dalla famiglia dell’Aga Khan nel tentativo di dare nuovo impulso e una veste internazionale alla compagnia aerea fondata nel 1963 per sostenere lo sviluppo turistico della Costa Smeralda e accompagnato dal 1985 dalla gestione dell’aeroporto di Olbia attraverso Geasar, società del gruppo Alisarda.
Data per morta numerose volte e incapace di generare profitti, negli ultimi tre decenni Meridiana è sopravvissuta grazie agli incentivi della Regione Sardegna per la continuità territoriale e per i ripianamenti finanziari della famiglia dell’Aga Khan. Al quale va inoltre dato merito di aver intuito di potersi inserire nella selvaggia concorrenza per le rotte atlantiche e salvare la compagnia aerea con un nuovo partner, Qatar Airways. Le trattative avviate nel 2016 portano ad un accordo quadro siglato il 27 giugno 2016 dall’allora ministro dei Trasporti Graziano Delrio. L’accordo prevede 396 esuberi e dà il via libera a Qatar Airways.
Il conflitto sul luogo di lavoro
«La ricezione di quell’accordo è sintomatica», ricorda Giovanniello, «soprattutto sul fronte delle relazioni sindacali. I sindacati si mettono di traverso, contestano gli esuberi e ricorrono alla giustizia». Esattamente un mese fa, l’11 gennaio, il Tribunale di Tempio Pausania dichiara illegittimi i licenziamenti di un gruppo di 21 lavoratori e ne dispone il reintegro. «Di fatto, i sindacati non accettano il principio che la quantità di addetti cambi l’efficienza di un’azienda e trovano un giudice che dà loro ragione. Non solo chiedono che l’azienda dia lavoro a un numero in questo caso improprio di lavoratori, ma pretendono di decidere anche la sede di lavoro, Olbia».
Olbia è da sempre il nodo della contesa. La compagnia aerea dà lavoro direttamente e indirettamente a circa 1.500 e persone ed essendo nata in Sardegna, buona parte della manodopera lavora nell’isola. Con l’ingresso di Qatar Airways, tuttavia, le priorità erano cambiate. «Olbia è come uno stabilimento da sempre in perdita, per Alisarda, poi per Meridiana e infine per Air Italy. L’Aga Khan è arrivato a perdere decine di milioni l’anno su Olbia, nonostante la gestione diretta dell’aeroporto, che non è poco», spiega Giovanniello. L’arrivo dei qatarioti doveva servire anche per ridurre al minimo la presenza in Sardegna e sviluppare l’hub di Milano da cui far partire le rotte transatlantiche. «Peccato che i lavoratori e i sindacati sardi abbiano risposto picche».
«Per Qatar Airways e il suo amministratore delegato, Akbar Al Baker, la situazione creatasi è semplicemente inconcepibile, nel senso che non hanno a mio avviso proprio gli strumenti per comprenderla e trattarla. A Doha fanno la fila per entrare e lavorare centinaia di migliaia di persone provenienti da tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Australia, dalle Filippine all’Europa e mica tutti stanno dietro a una scrivania, anzi e un manipolo di italiani preferisce rischiare il licenziamento invece di trasferirsi a meno di un’ora di aereo di distanza da casa, fra l’altro con l’assicurazione di avere i voli di rientro garantiti ogni settimana. Secondo me in Qatar non hanno proprio le parole per definire questa situazione e infatti si è visto come non l’hanno gestita».
La scheda:
Vettore Alisarda 1963-1981; Meridiana 1981-2018; Air Italy 2018-2020
Acquisizioni Eurofly nel 2006, Air Italy nel 2011
Società AQA Holding formata da Alisarda Spa (51%) e Qatar Airways (49%)
Presidente Roberto Spada
Dipendenti 1200 circa
Flotta 10 di cui: nr. 4 Airbus A330-200; nr. 1 Boeing B737-700; nr. 3 B737-800;
nr. 2 B737-MAX (a terra)
Destinazioni 26
Le altre criticità
Come se non bastasse, si sono sommati velocemente altri problemi. L’isolamento del Qatar, accusato formalmente di sostenere il terrorismo jihadista, ma soprattutto colpevole degli accordi commerciali con l’Iran, ha chiuso a Qatar Airways i cieli degli altri Paesi del Golfo, costringendo i voli in partenza e in arrivo a Doha a lunghe deviazioni con maggiori costi di carburante e di personale oltre alla diminuzione dei voli operati da ogni singolo aereo. Costi che evidentemente pesano o cominciano a farsi sentire anche sul florido bilancio della compagnia.
«C’è poi la querelle scatenata dagli americani sui voli transatlantici», dice Giovanniello. «Perché è chiaro che in base agli accordi voluti a suo tempo dagli stessi Stati Uniti, Qatar Airways come Emirates potrebbe operare dall’Italia voli in V libertà su qualsiasi destinazione USA, ma le compagnie americane sono di fatto riuscite a congelare questo diritto e l’ingresso in Air Italy è stato visto come piede di porco di Qatar Airways per aggirare il blocco e accaparrarsi una fetta dell’ancora florido mercato dei voli transatlantici. Va considerata la ristrutturazione in atto: nel Golfo, Etihad ha fatto talmente brutti affari ovunque (Air Berlin fallita, Alitalia quasi, Jet Airways fallita, Air Serbia insignificante) che è ormai ridimensionata e senza più ambizioni di gloria; Emirates ha rivisto al ribasso il modello di business, ha cominciato a ordinare aerei più piccoli e ora collabora strettamente con Flydubai che ha in flotta aerei a fusoliera stretta; infine Qatar Airways è molto aggressiva e se lo può permettere per la liquidità e infatti dopo essere entrata nel 2013 in Oneworld, ha comprato quote di molte compagnie che appartengono a quell’alleanza: il 10 per cento di Latam, il 20 per cento di IAG (British Airways, Iberia, Aer Lingus, Vueling), il 10 per cento di Cathay Pacific e persino il 5 per cento di American Airlines. Per gli americani è stato un affronto e hanno obbligato i qatarioti a vendere. Tutto questo per dire che il quadro era molto complesso per una compagnia partecipata al 49 per cento di fatto dal governo del Qatar».
Non va dimenticato che il rebranding del 2018 era un nuovo inizio e che la «fase di startup per una compagnia aerea che intende fare lungo raggio è lunga, anche 10 anni, e prevede investimenti massivi, nell’ordine di molti miliardi, soprattutto per dotarsi di aerei il cui costo per quelli a fusoliera larga è, vado a spanne, circa un milione di euro a posto e stiamo parlando di apparecchi dai 250 posti in su».
La scommessa persa su Alitalia
Infine, secondo Giovanniello c’è la scommessa persa su Alitalia. «Nonostante gli esuberi dell’accordo quadro, e al netto dei recenti reintegri, in Sardegna rimaneva una quota di lavoratori del tutto sproporzionata. Azzardo, ma non credo di essere molto distante dalla realtà, che il management di Air Italy fosse pronto ad avvantaggiarsi di eventuali ‘scivoli’ del personale del trasporto aereo preparati dal governo per alleggerire Alitalia e contasse di appropriarsi delle quote di mercato che un’Alitalia ridimensionata avrebbe lasciato. Ma poiché il nodo viene continuamente rimandato ridicolizzando qualsiasi previsione con un minimo di senso, nessuno sa in realtà quale possa essere il lasso temporale per una soluzione e quindi al gruppo AQA rimangono in capo centinaia di stipendi del tutto improduttivi, soprattutto a fronte del rifiuto di trasferimento a Milano. Può aver pesato molto sulla decisione dei soci di chiudere la compagnia».
Quanto la liquidazione sia una sceneggiata per ottenere una reazione dal governo lo si capirà nei prossimi giorni. La Cgil sposa questa tesi chiedendo “l’immediato stop alla procedura di liquidazione e un tavolo per salvare la compagnia”, mentre altri chiedono la ricerca di partner industriali pronti a rilevare la compagnia e salvaguardare i lavoratori.
Chi vorrebbe investire e chi no
Certo non potrà essere da sola Qatar Airways il cui 49 per cento di quote sociali è il limite massimo ammesso dalla normativa europea. La compagnia in una nota successiva al comunicato dell’assemblea ha spiegato che “era pronta, ancora una volta, a fare la propria parte nel sostenere il rilancio” ma che “ciò sarebbe stato possibile esclusivamente solo con l’impegno di tutti gli azionisti”.
«L’affermazione di Qatar Airways rafforza l’ipotesi che sia stata Alisarda, cioè la famiglia Aga Khan a volersi tirare indietro», dice Giovanniello, ma potrebbe essere anche marketing volto a rassicurare i futuri clienti che nulla perturberà i voli di Qatar Airways vera a propria. «Il vero problema è però l’industria aerea nazionale perché Qatar aveva il know how e le risorse finanziarie per costruire un modello di successo, ma ora è costretto ad andarsene e probabilmente investirà altrove, ma non in Italia. E l’altro problema è per Malpensa che per l’ennesima volta si trova messa a terra da un vettore che le avrebbe restituito il ruolo di hub e l’avrebbe fatta crescere con passeggeri in transito ».
Anche per il Paese si tratta dell’ennesimo segnale di incapacità di stare sul mercato. «I soldi ci sono, come evidenzia il miliardo e mezzo di euro, interessi compresi, investiti vanamente dallo Stato negli ultimi tre anni in Alitalia, ma non stiamo cavando un ragno dal buco, anche perché manchiamo della flessibilità, degli strumenti e della mentalità richiesti dall’attuale mercato del lavoro». In definitiva, chiude Giovanniello, «Si è verificato lo scontro tra opposte mentalità, che in Italia sembra facilmente da padrone delle ferriere attuata con mezzi moderni e quella sindacale anni ‘70 che tanto conta sempre sull’intervento statale. Non poteva che finire male».
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